giovedì 19 aprile 2012

La creazione dei miti scientifici: l'autismo



La conquista contemporanea dell’opinione dipende sempre di più dalla coerenza della storia che presenta una tesi nei diversi media, e dall’enumerazione dei fatti selezionati per sostenerla.
La campagna stampa, preparata da professionisti, per sostenere la tesi di alcune associazioni di genitori di autistici, racconta una storia. Fa la caricatura della psicoanalisi per proporre le terapie comportamentali come unica soluzione adatta per l’autismo nel suo insieme e per tutto lo spettro della sua estensione. L’epicentro della storia è la Francia o meglio, sono la Francia e il Belgio, ma questa storia deve essere pensata globalmente.
Riassumiamo. Attraverso procedure che consistono nell’ingannare la buona fede, una sedicente documentarista riduce la diversità delle posizioni degli psicoanalisti interrogati a una tesi ridicola: la causa dell’autismo è colpa dei genitori, specialmente della madre. La tesi per essere ridotta in tal modo sul letto di Procuste, viene formulata con amalgami e distorsioni. Una volta che la tesi è così stabilita, l’onore dei genitori incriminati e colpevolizzati, può essere salvato solo dalla più feroce denuncia dell'approccio che la sostiene. A tale scopo tutto può essere messo in gioco e snaturato per sostenere simile causa.
L’operazione è garantita dal ricorso alla scienza, che renderebbe conto dell’insieme dei fenomeni attraverso una stretta considerazione biologica, senza tener conto della relazione che il soggetto mantiene con il mondo, facendo leva su quel che certi fenomeni autistici possono far apparire e suggerendo a tal proposito un taglio netto. Il dramma relativo alla salute pubblica che tuttavia questi soggetti mettono in primo piano pone il problema di come accogliere questi sintomi in un discorso. Anche giustificando con artifici statistici la sorprendente crescita del numero di casi, resta da chiarire perché lo sguardo clinico spiega meglio questi sintomi. Bisogna aggiungere che l'autismo è il solo “disturbo” psichico per il quale la metafora che riduce il problema a un “disequilibrio chimico”, come nella depressione, viene rifiutato.
Le crisi di agitazione, d’angoscia, di chiusura in sé stessi, possono essere stimolate o calmate da terapie mediche appropriate, anche se nessuno sostiene di agire sulle cause. Da qui le speranze riposte in una causa genetica. Per ora non è tuttavia disponibile nessuna terapia medica specifica in usto senso. Che fare allora?
Alcuni pionieri ispirati dalla psicoanalisi, negli anni Sessanta, proponevano in diverse istituzioni un approccio che unisse metodi relazionali, giochi, attività e apprendimento. Le istituzioni e le loro combinazioni terapeutiche si rivolgevano a ogni genere di patologie. Nel 1987, Ivar Lovaas, in un interessante articolo, propose di concentrarsi su un metodo di ripetizione intensiva dei comportamenti semplici, e di riservarlo agli autistici. Questo tipo di intervento era fortemente strutturato dall’approccio del tipo ricompensa-punizione. Fu chiamato Analisi del comportamento applicato. In inglese, Applied Behavior Analysis (ABA). Non c'è nessun riferimento ad aspetti cognitivi. Il metodo ha incontrato negli USA un successo proporzionale al prestigio che, in questa area culturale,  viene riconosciuto all’approccio comportamentale. Non sono tuttavia mancate le obiezioni – e non solo da parte degli psicoanalisti – contro l’idea di estendere i metodi comportamentali, con il loro riduzionismo, allo “ spettro dei disturbi autistici”. Furono obiezioni etiche, tecniche ed economiche.
La finzione allestita nel film “Il muro” presenta le molteplici questioni poste dal trattamento dell’autismo come riducibili da una parte al confronto tra psicoanalisi e terapie comportamentali, e dall’altra parte al confronto tra la Francia, paese del passato, e gli Stati Uniti, paese del futuro. In Francia la psicoanalisi ostacolerebbe ancora la scienza, mentre negli Stati Uniti le terapie cognitivo-comportamentali sarebbero unanimemente riconosciute come il trattamento di riferimento. È una sorta di una finzione bifocale, ma falsa in ciascuno dei due fuochi.
In Francia i trattamenti dei soggetti autistici ispirati dalla psicoanalisi tengono conto dei progressi della scienza, utilizzano i farmaci adeguati, raccomandano l’inserimento dei bambini nelle istituzioni più adeguate e in un tipo di scuola dove l’apprendimento si possa adattare alle possibilità. Tali trattamenti si basano sulla necessità di interloquire in modo continuativo con questo tipo di bambini. Occorre dire loro qualcosa, senza far tuttavia pressione in modo eccessivo. Sono trattamenti che mettono l’accento su un approccio relazionale, a partire dai segni d’interesse manifestati dal bambino. Non si tratta di una stimolazione-ripetizione eguale per tutti, ma di una sollecitazione fatta su misura. Si tratta di un approccio bottom up, e non top-down. Le istituzioni dove è possibile tale approccio sono troppo poche in Francia. Tale scarsità va nel senso contrario a quello del cosiddetto “dominio ideologico” rimproverato alla psicoanalisi. Per questa ragione molti bambini francesi vengono mandati in Belgio, dove ci sono istituzioni sufficienti per accoglierli. Le autorità di tutela considerano che esse danno risultati che le collocano al rango delle migliori della disciplina. Esse vengono finanziate dall’equivalente della previdenza sociale.
Negli USA i trattamenti comportamentali sono fatti oggetti di numerose obiezioni e incontrano diversi limiti: etici, economici e legali. L’obiezione etica concerne il numero e l’intensità delle punizioni che è necessario infliggere per rompere l’isolamento del soggetto. Qual è un prezzo accettabile per innestare un comportamento ripetitivo in un soggetto così chiuso in se stesso? Alcuni operatori che applicano il metodo ABA sono stati fatti segno di svariate lamentele per “comportamenti non etici” verso alcuni bambini. Fin dove è possibile trasformare i genitori in educatori intensivi dei loro bambini? Alcuni lo hanno fatto fin allo stremo, provocando una sorta di burn-out genitoriale.
In Canada, paese particolarmente sensibile alla protezione delle comunità, le obiezioni sono arrivate al punto di considerare l’imposizione di simili comportamenti come un attentato ai diritti del soggetto autistico in quanto tale. Bisogna partire dall’autismo, per concepire modi appropriati di apprendimento, e per non imporre forme semplicemente ripetitive di apprendimento. Tra le due posizioni estreme, gli USA e il Canada presentano tutta una serie di approcci misti che tendono a distanziarsi da tecniche rigide, assimilabili a un ammaestramento, per sollecitare le particolarità del bambino in tutta l'ampiezza dello spettro autistico. Negli USA, le tecniche ABA sono considerate piuttosto superate.
Ci sono anche obiezioni economiche. Mentre i risultati dell’apprendimento intensivo stentano a durare al di là dello quadro stretto in cui sono somministrati, il metodo presuppone l'impiego di un educatore individuale a tempo pieno. Il costo di un trattamento standard è quindi stato valutato in 60000 dollari l’anno. Le associazioni di genitori convinte di tali metodi hanno cercato di farli rimborsare dagli Stati che, negli USA, sono già carichi di spese sanitarie. Sollecitata in tal senso, la California ha rifiutato questo rimborso, e anche, in Canada, l’Ontario.
La fiction “Il muro”, con le sue semplificazioni polemiche, fa dimenticare la pluralità dei punti di vista prodotti dalla complessità del problema dell’autismo. Questa pluralità si ritrova nei commenti provocati dal finto documentario. Il giorno stesso, il quotidiano “Le Monde” e il suo supplemento erano su lunghezze d’onda molto diverse, per non parlare di altri giornali. La realizzatrice del “Il muro” evocava la simpatia dei giornalisti verso una di loro, presentatasi come vittima della censura. La stessa persona si proponeva anche come documentarista, pur avendo avuto una vocazione tardiva, e come studentessa di psicoanalisi delusa. Era insomma dappertutto.
Nel supplemento di "Le Monde” una giornalista che, fino a quel momento, non si era mai occupata di questioni di salute mentale, è stata sedotta dalla tesi del filmato. La psicoanalisi non trova più grazia con lei, e quando uno degli intervistati del film le propone esattamente le tesi che lei stessa difende, trova che abbia un “atteggiamento arrogante”. Nel giornale invece, Catherine Vincent, più agguerrita, fa riferimento alla pluralità degli approcci, all’”appello dei 39” e sostiene come sia necessario un eclettismo. Nell’”Herald Tribune” un articolo riprende la storiella Francia-USA e s’inscrive nella fiction proposta. Nel frattempo si andava precisando la parte americana della storia, e la realizzatrice annunciava la sua presenza a Philadelfia al congresso ABA, giovedì 26 gennaio, dove auspicava di presentare il suo film, dopo un passaggio a New-York. Possiamo dubitare che il suo metodo sia in grado di convincere chicchessia, salvo gli adepti del “ French bashing”. Negli USA, la differenza di opinioni è troppo radicata. La sentenza del Tribunale mette in luce le cattive procedure utilizzate dai partigiani di una causa che, apparendo loro buona, ha giustificato ai loro occhi l'uso di qualsiasi mezzo. L’avvocato della realizzatrice e della società di produzione menzionando Michael Moore nella dichiarazione di procedere in appello, rimanda solo alla fiction Francia-USA. Come prima prova da documentarista, la nostra polemista deve portare una maschera un po’ pesante.

Eric Laurent


Traduzione di Marco Focchi

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